Il cloro nell’acqua potabile: tra sicurezza, rischi e nuove prospettive per l’igienizzazione idrica

By Ottobre 18, 2025Igienizzazione

Da oltre un secolo, il cloro è considerato il “guardiano invisibile” dell’acqua potabile.
È grazie a lui se, in gran parte del mondo, si è riusciti a sconfiggere epidemie come il colera e il tifo veicolato dall’acqua.
Ma come spesso accade, ciò che protegge può anche diventare un rischio se usato senza consapevolezza.

L’uso del cloro nella disinfezione idrica resta oggi una pratica insostituibile, ma anche delicata.
Dietro la semplicità apparente del gesto – dosare qualche milligrammo per litro – si nasconde una complessa dinamica chimica che coinvolge efficacia microbiologica, qualità sensoriale, formazione di sottoprodotti e sicurezza dell’utenza.

In questo articolo analizziamo come funziona la clorazione, i limiti dello shock di cloro, i rischi legati ai sottoprodotti che possono permanere dopo l’intervento e come si stanno affermando alternative più sicure e controllabili, basate su prodotti registrati come presidi medico-chirurgici.

1. Il cloro come presidio di sicurezza

Il principio è semplice: il cloro, disciolto in acqua, forma acido ipocloroso (HOCl), un potente ossidante capace di distruggere batteri, virus e protozoi.
A differenza di altri disinfettanti, il cloro ha un vantaggio fondamentale: lascia un residuo attivo che protegge l’acqua anche lungo la rete di distribuzione, fino al rubinetto.

Per questo motivo, la disinfezione a base di cloro è ancora oggi prevista da tutte le principali normative:

  • Direttiva (UE) 2020/2184 e D.Lgs. 18/2023, che regolano i parametri di sicurezza e i limiti dei sottoprodotti;
  • WHO – Guidelines for Drinking-water Quality, che raccomandano concentrazioni operative di cloro libero tra 0,2 e 0,5 mg/L, sufficienti per mantenere la protezione microbiologica senza effetti sensoriali indesiderati.

Il cloro, in altre parole, è una barriera indispensabile. Tuttavia, la sua efficacia e sicurezza dipendono da come viene usato, in che contesto e per quanto tempo.

2. Il rovescio della medaglia: i sottoprodotti della disinfezione

Ogni volta che il cloro entra in contatto con la materia organica naturale presente nell’acqua (foglie, alghe, sostanze umiche, residui vegetali), avviene una reazione chimica che porta alla formazione di sottoprodotti di disinfezione (DBP).
I più noti sono i trialometani (THM), come il cloroformio, e gli acidi aloacetici (HAA).

Queste sostanze, in concentrazioni elevate e per esposizioni prolungate, possono avere effetti indesiderati sulla salute, tanto che la normativa europea ne ha fissato valori rigorosi:

  • THM totali ≤ 100 µg/L
  • Bromato ≤ 10 µg/L
  • Clorito e clorato ≤ 0,25 mg/L (0,70 mg/L in caso di disinfezione con biossido di cloro)

L’obiettivo della legge è chiaro: proteggere dalle infezioni microbiologiche senza creare nuovi rischi chimici.
In pratica, la disinfezione è necessaria, ma va gestita con equilibrio, perché un eccesso di cloro può generare composti indesiderati che restano nell’acqua anche dopo l’intervento.

3. Lo shock di cloro: una pratica utile ma non priva di rischi

L’igienizzazione shock, detta anche iperclorazione, è una procedura straordinaria usata per risanare reti, serbatoi o impianti contaminati.
Consiste nell’immettere dosi elevate di cloro (anche 10–20 mg/L o più, a seconda dei protocolli), mantenendole per alcune ore per eliminare biofilm e microrganismi come Pseudomonas, E. coli e, in alcuni casi, Legionella.

È un intervento efficace, ma che comporta diversi limiti e rischi:

  • Durante lo shock si producono grandi quantità di sottoprodotti clorurati, spesso ben oltre i limiti di legge, che possono permanere nel circuito anche dopo il risciacquo.
  • Le acque di scarico post-intervento devono essere neutralizzate (de-clorate) prima dello smaltimento, per evitare danni ambientali.
  • I materiali delle tubazioni (gomma, acciaio, plastiche) possono subire degrado chimico o corrosione.
  • L’effetto è temporaneo: se non si eliminano le cause strutturali (stagnazioni, punti morti, ricircoli mal progettati), il biofilm si riforma in breve tempo.

Per questi motivi, l’iperclorazione non deve essere considerata una soluzione permanente, ma un intervento correttivo d’emergenza da eseguire con controllo analitico pre e post trattamento, sotto responsabilità tecnica qualificata.

4. Quando la soluzione diventa un rischio

Il cloro, specie in condizioni di pH elevato o in presenza di elevata sostanza organica, può reagire generando clorammine o composti organici clorurati persistenti.
Se lo shock non viene seguito da un risciacquo completo e da analisi di conferma, questi sottoprodotti possono rimanere intrappolati nel sistema idrico e migrare progressivamente nell’acqua di consumo, alterandone il sapore e compromettendo la qualità.

È proprio per questo che l’uso di elevate concentrazioni di cloro deve essere considerato una pratica da pianificare e monitorare attentamente, non un intervento “automatico”.
L’obiettivo, oggi, è passare da un approccio reattivo (disinfettare dopo il problema) a un approccio preventivo e controllato, in linea con i Piani di Sicurezza dell’Acqua (PSA) previsti dal D.Lgs. 18/2023 e dalle Linee guida dell’OMS.

5. Verso una disinfezione più sicura e sostenibile

Negli ultimi anni, la ricerca e l’innovazione nel settore idrico hanno introdotto disinfettanti alternativi al cloro tradizionale, più selettivi e meno rischiosi per operatori e utenti.
Si tratta di prodotti registrati come Presidi Medico-Chirurgici (PMC), conformi alle normative europee sui biocidi, che garantiscono:

  • Maggiore efficacia biocida anche a basse concentrazioni.
  • Assenza di sottoprodotti tossici o clorurati.
  • Compatibilità con i materiali e maggiore sicurezza per l’ambiente.
  • Controllabilità analitica più semplice, grazie a residui non persistenti.

Questi prodotti, sebbene più costosi del cloro, rappresentano una soluzione tecnologicamente evoluta e più sostenibile nel lungo periodo.
La loro applicazione rientra in una visione moderna della sicurezza idrica, dove l’obiettivo non è solo eliminare i microrganismi, ma proteggere la qualità complessiva dell’acqua e la salute delle persone.

Conclusione

Il cloro resta una pietra miliare della sicurezza idrica, ma il suo uso richiede oggi una nuova consapevolezza.
L’iperclorazione è uno strumento utile, ma deve essere utilizzato con misura, sotto controllo tecnico e con la consapevolezza dei suoi effetti collaterali.
La disinfezione moderna si basa su approcci integrati, sull’analisi preventiva del rischio, sull’igienizzazione mirata e controllata e, sempre più spesso, sull’uso di presidi medico-chirurgici innovativi in grado di garantire risultati superiori senza generare residui nocivi.

Garantire acqua sicura significa oggi unire tradizione e innovazione, proteggendo il bene più prezioso che abbiamo: la salute attraverso la qualità dell’acqua.

 Riferimenti

  • Direttiva (UE) 2020/2184.
  • D.Lgs. 18/2023 e D.Lgs. 102/2025.
  • WHO, Guidelines for Drinking-water Quality, 4ª edizione.
  • EPA, National Primary Drinking Water Regulations (MRDL, THM, HAA).
  • ISS, Linee guida per la prevenzione della Legionella e gestione delle reti idriche.

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