
Da decenni si discute se l’acqua possa conservare una sorta di “memoria” delle sostanze con cui è entrata in contatto, anche dopo che queste sono state rimosse o diluite fino a non essere più rilevabili.
L’idea è affascinante: immaginare che una molecola d’acqua mantenga un’impronta del suo passato.
Il concetto è stato reso noto soprattutto negli anni ’80, quando alcuni studi controversi ipotizzarono che l’acqua potesse “ricordare” molecole attive anche a diluizioni estreme, ipotesi che aprì il dibattito sulla possibile spiegazione scientifica dell’omeopatia.
Tuttavia, la comunità scientifica non ha mai trovato prove solide e riproducibili a sostegno di questa teoria.
Secondo la scienza attuale, le molecole d’acqua si muovono e si riorganizzano continuamente in tempi brevissimi (frazioni di miliardesimi di secondo), impedendo la formazione di strutture stabili che possano mantenere un’informazione. In altre parole: l’acqua non conserva memoria in senso scientifico.
Eppure, il mito della “memoria dell’acqua” continua ad affascinare, al confine tra ricerca, suggestione e filosofia.
Una curiosità che stimola riflessioni non solo scientifiche, ma anche culturali e simboliche: dopotutto, l’acqua è la sostanza che più di tutte accompagna la vita sul nostro pianeta.